Anche questo è amore
Racconto di Adamo Bencivenga


Che notte stanotte qui sotto la pioggia, dentro questa cabina una stufa mi scalda, tra i vetri che sgocciolano e fanno riflesso, al faro che muovo per guardare di fuori. Che notte stanotte se non smette e poi tuona, e i rami di lampi si spaccano lilla, e rischiarano a giorno questo piazzale d’asfalto, e questi fusti preziosi che contengono olio. Dentro questa cabina ogni sera controllo, che tutto sia a posto e non ci siano intrusi, perché io sono qui che faccio la guardia, mentre tu sei a casa e t’immagino a letto, con un fascio di luna che ti schiara e ti sfuma e corre leggero lungo la schiena, poi s’adagia e risplende dall’orlo ai capelli, perché tu dormi riversa ed io guardo nel vuoto, perché tu dormi che sogni ed io lavoro.
Qui vengono coppie segrete e notturne, ed io come un ladro rubo gli amori, e vengono in tante e s’infilano strette, tra i bidoni che alti coprono in parte, i visi, gli ardori, le voglie segrete, le tante promesse che s’aggrumano a notte. Non ci sono parole dentro questo silenzio, perché mute le vedo che si lasciano andare, quando girano in fretta la chiave del quadro, e a memoria già sanno cosa devono fare. Sono amori indecenti di donne sposate, con la faccia d’attrici e i capelli arruffati, e le labbra dipinte che sanno di cena, con un tono di rosso spalmato a secchiate. Sono coppie immorali ai miei occhi curiosi, di uomini in cerca di morbide culle, di donne viziose nell’occhio del faro, che discreto s’insinua tra le gambe che danno, come porte di hangar sempre aperte di notte.
Sono amori novizi che sbocciano ai vetri, di parole appannate perché mai si è sicuri, che quello è il momento e stringerla dove, le parole non dette hanno sempre più effetto. Ed altri finiti che non c’è tempo di dire, perché sanno di perso, d’abbandono e di morte, perché l’ultima frase ruoterà nel cervello, leggera e violenta che ti molesta per sempre, ovunque tu sia qualunque cosa tu faccia. Amori scaricati che vorrebbero urlare, appendersi ad un ramo del pino di fronte, ma non per morire, ma per illudersi ancora, che un gesto eclatante possa davvero bastare, tra le ombre sfumate senza anima e cuore, e alle volte davvero non riesco a capire, chi è l’uomo, la donna, chi tutti e due, chi cerca la bocca e chi si lascia baciare.
Perché il mio mestiere è vedere le ombre, distinguere un nero da un nero più fondo, e come un cane da guardia trascrivo ogni cosa, il minimo appunto che abbia un tono diverso, da questa notte che entra pesta nel faro, da questo silenzio che muto m’assale. Ma le coppie che vedo le lascio tranquille, non annoto l’orario e nemmeno la targa, perché inoffensive hanno altro da fare, e non ruberebbero certo quei fusti di olio. E’ un viavai fitto di trame di fari, di una regola scritta che conosco a memoria, chi cauto perché è la prima volta, chi esperto sa dove sostare, chi decisa perché sa di mestiere gli indica il posto per fare più in fretta.
Sono amori slavi che restano il tempo, per comprarsi una casa al centro di Mosca, e l’italiano che sanno gli serve per poco, per dire cinquanta d’amore o di altro. Sono amori di gente che cerca il tesoro, dentro due seni strafinti e rifatti, che rimangono dritti nonostante l’ardore, di chi li bacia e s’illude che sanno di latte. Sono amori fottuti di bambine già adulte, che fanno bene l’amore come fossero esperte, con una bambola in mano e la tristezza di fianco, in un gioco infinito tra infermiera e dottore. Si vendono a pezzi e ogni parte ha un prezzo, perché dentro un letto sarebbe diverso, ma rimangono serie e non si danno per niente, nemmeno un sorriso se non hai pagato la bocca.
Coppie insaziabili d’ogni genere e razza, con le labbra che s’aprono per tapparsi in un bacio, ed avide assorbono gli umori del cuore, ed ingorde si scambiano quelli del sesso. Sono amanti sorpresi da un marito geloso, che piano s’acquatta e li spia discreto, e nel faro lo vedo che fuma impaziente, e nel faro la vedo che lei si dimena, e poi avida stretta si blocca e s’ingozza, fino ad urlo scomposto sguaiato e più fitto. Lui la sente che grida, li sente i richiami, sente perfino il tintinnio dei suoi cerchi, e dell’altro che affonda e lei che li tiene, nella voglia che ghiotta espelle e trattiene, nell’amante che grida parole indecenti, dette e ridette in un mantra infinito, per il complice gusto di sentirne il sapore.
Ma c’è una coppia che viene quasi tutte le notti, con un’auto cabrio rossa fiammante, quatta quatta parcheggia vicino al recinto, poco distante da dove li guardo. Lei porta un cappello sempre diverso, vestita di nero raramente di rosso, lui è alto abbronzato con pochi capelli, due occhi di ghiaccio e un ghigno di maschio. Mai li ho visti lasciarsi rapire, da baci e carezze promesse e lo giuro, mai li ho visti scambiarsi un sorriso, una carezza sincera di tenerezza e d’affetto. Lei esce superba e fa tre passi nel buio, col motore acceso lui la punta coi fari, lei cammina e ostenta il suo dietro rigonfio, si muove adagiando i fianchi sinuosi, come fosse un angelo impalpabile all’aria, come fosse un tutt’uno con l’intorno in penombra, una preda di notte che non si lascia agguantare.
E’ bella, perfetta e in quell’Olimpo da dea, s’innalza tra i cocci e i rifiuti dei cani, fuma e s’appoggia al primo tronco che incontra, scopre il suo seno con la mano che sale, ed io che la guardo sorpreso pensando, quanta devozione s’annida dentro quel gesto, quanto il desiderio di essere altro, la stessa che lui sta ora bramando, dentro quella macchina e si concede da solo, dentro la voglia che rimane distante, da quelle sue unghie che s’infilano piano, nei pizzi che dà e quelli che tiene, mentre punta i suoi tacchi e s’appoggia sul tronco, mentre lo chiama e scopre la gonna, e lo invita facendo un gesto col dito, e come fosse un’attrice si cerca il piacere, affonda decisa in un attimo intenso, quel poco che basta per vederla salire, dentro la macchina e ripartire sgasando.
Che notte stanotte se non smette e poi tuona, e i rami di lampi si spaccano lilla, e rischiarano a giorno questo piazzale d’asfalto, e queste macchine scure che si muovono a tempo. Che notte stanotte se ci penso davvero, che fuori da un letto mai ho fatto l’amore, e Sonia ogni volta che spegne la luce, e s’accoccola al buio in un sussurro d’amore. Che notte stanotte qui sotto la pioggia, dentro questa cabina una stufa mi scalda, e penso che in fondo anche questo è amore, nell’affannata ricerca di non sentirci mai soli, di bisogno d’affetto e disperate miserie, briciole amare d’attenzione e bisogno, dentro questo via vai fino alle prime ore dell’alba. E penso che in fondo tutto sarebbe normale, come la fauna che di notte si muove, e senza questo faro che le illumina a giorno, sarebbero intatte segrete preghiere, di un’invocazione infinita che chiamano amore.
FINE


Il racconto è frutto di fantasia.
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